Lezione Vs Racconto
Il termine Lezione viene dal latino Lectio-onis che sta per legĕre, quindi una lezione è di per sé una esposizione di quanto possiamo aver appreso da una lettura, da uno studio. In una lezione si può quindi esporre anche ciò che non è pertinente alle nostre specifiche competenze intellettive, poiché una lettura ben memorizzata ci offre la possibilità di fare una lezione su un tema che non ha a che fare con il nostro lavoro. Infatti un conto è parlare di una certa malattia, e un altro conto è raccontare il vissuto di una nostra malattia.
Quindi raccontare, si collega molto di più alla esposizione-narrazione di una esperienza vissuta, provata e sentita, che dunque gli ascoltatori la possono percepire come maggiormente incarnata, esperita e fissata nel proprio corpo-mente nelle varie forme gesto-motorie, sensoriali-sinestesiche, emotive e sentimentali, molto più vicine a quello che gli antichi greci chiamavano Kairos per indicare la natura di un vissuto qualitativo, cosa completamente contraria al termine Kronos, con il quale si indicava la natura di un vissuto quantitativo, cioè misurato in termini di secondi, di quantità e non di qualità.
A questo punto il raccontare ci rimanda a una antica forma di scambio di conoscenze, come ad esempio quelle che i primi homo sapiens praticavano attorno al fuoco, in incontri non obbligatori perché si potevano avvalere della narrazione come forma di relazione basata sulla credenza del narratore e sul valore della fiducia che tale contesto narrativo offriva.
Nel raccontare c’è sempre una parte del vissuto del narratore poiché, oltre alla storia che potrebbe anche essere non vissuta da chi racconta, resta presente e vivo l’atto di voc–azione che lo rende persona partecipata, coinvolta e dunque molto più credibile.
Da queste due specificazioni, la prima della Lezione e la seconda della Narrazione, si evincono le diverse qualità e la diversa efficacia unita alla credibilità e al libero e spontaneo piacere di ap-prendere e com-prendere.
Fare lezione, per quanto si possa aver memorizzata al massimo una specifica lettura o uno specifico studio, si tenderà comunque sempre a sviluppare un corpo-mente più logico, più misurato, meno coinvolto, e quindi a dar vita a una lezione meno sentita e ancor meno partecipata, a tal punto da tradire lo scarso coinvolgimento emotivo da parte di chi svolge un insegnamento in forma di lezione.
A conferma di ciò, è possibile aggiungere questa citazione di uno tra i più noti psichiatri italiani, Vittorino Andreoli, che cosi scrive nel suo libro La gioia di pensare (Rizzoli, Milano 2016, p. 28.):
Ho capito la differenza tra «fare lezione » e «raccontare». Nel primo caso, che è abituale nelle università, si espone ciò che si è appreso, nel secondo caso ciò che si è fatto.
Si può fare una lezione su un argomento di cui si è appena «letto» e che non è pertinente nemmeno alla propria professione: posso parlare di fisica nucleare, del bosone di Higgs ed essere un medico. Raccontare prevede di aver avuto esperienza di ciò che si riferisce e dentro il racconto c’è anche colui che ha fatto, colui che parla. C’è un pezzo della propria vita.
Docenti, ragazze e ragazzi, cercate di capire quanto vi può essere utile nella vita una forma di apprendimento frutto di una lettura, rispetto a un sapere vissuto, incarnato nel vostro unico e proprio corpo-mente.
Narrare veramente la vostra conoscenza-esperienza significa prima di tutto “dire” e “dare” agli altri una ben più evidente e ancor più qualitativa essenza di voi stessi!
di Maurizio Spaccazocchi