Fatti non foste a vivere come bruti,
Ma per seguir virtute e canoscenza.
Nella scuola, difronte a questa divina frase di Dante (Inferno, XXVI, 118), la più bella considerazione che si possa ascoltare dalla voce degli studenti, secondo noi, è questa:
Prof… ma che cosa significa questa frase?
Ogni prof e ogni prof.ssa dovrebbero sentirsi felici e orgogliosi di ricevere questa bella richiesta di comprensione, pur prendendo coscienza del rischio che questo tipo di richiesta porta con sé.
Infatti prima di rispondere a questo tipo di domande, dovremmo dichiarare subito alla classe che offriremmo loro una nostra interpretazione. E un’interpretazione e sempre personale e mai un dogma. E quindi, per essere sinceri e corretti, forse, la prima cosa da far fare sarebbe questa:
Perché non create dei sottogruppi e cercate al loro interno di dare un significato a questa frase?
Da qui potranno emergere più interpretazioni, più o meno simili e magari pure contrastanti… ma non importa perché le metteremo tutte a confronto, sia quelle simili sia quelle contrastanti, cercando di capire come sono scaturite all’interno di ogni gruppo, come è stata interpretata ogni singola parola e come è stata combinata con le altre.
Quando tutto questo gioco interpretativo sarà terminato, potremo aggiungere un’altra domanda: Se questa frase l’avesse detta Ulisse ai suoi compagni d’avventura, che senso acquisirebbe secondo voi?
Ed ecco che riprenderà il lavoro in sottogruppi per contestualizzare la nota frase Dantesca.
E solo dopo aver ascoltato le interpretazioni date dalla classe, potremo finalmente capire se quella loro domanda iniziale aveva bisogno o no della nostra interpretazione poiché, con molta probabilità, noteremo che i ragazzi e la ragazze, a modo loro, avranno comunque trovato una strada per giungere a una interpretazione sensata.
Potremmo andare avanti a far leggere in classe l’interpretazione di questa frase data da qualche studioso di Dante per far capire ai ragazzi quanto questa sia vicina o lontana dalla loro?
Certo che sì!
Potremmo invitare ogni giovane a leggere ad alta voce questa frase, interpretandola, con i toni di voce che ritengono più appropriati?
Certo che sì!
Potremmo far ascoltare alcuni frammenti delle tante versioni recitate di questo noto XXVI canto fatte da attori di diversa cultura, periodo e stile?
Certo che sì!
Ma il bello di tutto ciò, sarà quando i nostri ragazzi capiranno che la Divina Commedia di Dante non è il solito territorio delle noiosità, ma è il campo in cui è possibile dare forma al democratico diritto di esternalizzare la dote interpretante che è tipica della nostra specie!
Per questo le opere di Dante sono giunte sino a noi: per dar forma alla nostre virtù interpretanti, poiché è anche da queste che potremo dare energia alla nostra e la loro conoscenza… che non è mai troppa.
di Maurizio Spaccazocchi e Andrea Iovino