Educare con un “cuore di carne”!
A volte il titolo di un libro è così azzeccato che diventa la sintesi di tutto il contenuto presente nelle sue pagine. Se poi questo libro è stato scritto da Papa Francesco lo diventa ancor di più. E non è un caso che il nostro Papa abbia aperto il sinodo della famiglia con questa frase:
L’umiltà evangelica porta a non puntare il dito contro gli altri per giudicarli, ma a tendere loro la mano per rialzarli, senza mai sentirsi superiori.
In questo scritto non è nostra intenzione usare questa frase e il titolo del libro del Papa (Chi sono io per giudicare? Ed. Pickwick, 2017) in un’ottica non dogmatica, quanto invece traslare il tutto nella nostra dimensione educativa, poiché crediamo, anzi, siamo convinti, che quel Chi sono io per giudicare sia un tema di grande rilevanza pedagogica.
Intanto, è chiaro a tutti che questo titolo quanto la frase sull’umiltà del Papa fanno chiaro riferimento a quando Gesù disse:
Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarete misurati anche a voi.
Ecco dunque i temi-problema che ci interessano sul piano pedagogico e nei confronti dei quali la pedagogia generale e l’insegnante (nel suo particolare) dovrebbero riuscire a trovare delle risposte ben più che motivate alle seguenti domande:
Sino a che punto il concetto di valutazione scolastica può definirsi come una vera e propria azione giudicante?
Con quale giudizio si valuta il lavoro degli studenti?
Quanto è umano questo atto giudicante a livello pedagogico?
Si possono ipotizzare delle azioni sostitutive alle forme di valutazione giudicanti?
È possibile che il giudizio dell’insegnante possa tendere a reprimere la dote auto-valutante dei giovani studenti?
Nell’atto valutativo degli altri, nell’atto giudicante degli altri bisogna stare molto attenti a non rischiare di comportarsi come ci consiglia lo scrittore Jorge Luis Borges:
Noi giudichiamo gli altri per quel che hanno fatto e vogliamo essere giudicati per quel che avremmo potuto fare.
A volte il potere acquisito in classe è ben lontano dalla coscienza autorevole che ogni insegnante dovrebbe aver acquisito nel suo saper essere persona umana e umanizzante. Ma quando il potere giudicante prende il sopravvento c’è pure il rischio, molto grave, di entrare nel freddo gioco della “durezza” professionale: e così che si entra nello stadio dell’insensibilità più dura. Si entra nel freddo cinismo tipico del cuore giudicante. Un atto del cuore che Papa Francesco ha definito sclerocardia, conseguenza dell’io-mente isolato, di un io-egoista disposto a rispettare modelli operativi obsoleti, che denigrano la dignità della persona per una illusione di grandezza inesistente.
Sappiamo benissimo che capita molto spesso che l’insegnante in atto giudicante valuti l’altro trascurando il suo stesso chi era, com’era e cosa sapeva; condizione minima, questa, per avere almeno un imparziale criterio umano che possa rendere “pulita” la propria valutazione.
Ma è poi vero tutto ciò?
Sino a che punto il proprio metro di auto-valutazione è applicabile ad altri?
Tutte le risposte possibili e plausibili alle domande sopraindicate non giustificano in alcun modo nessun atto giudicante da parte di una persona su un’altra!
L’unico modo plausibile che ogni insegnante ha, (ma in questo caso sarebbe certamente meglio usare la parola educatore) è quello di cercare di pro-muovere in ogni giovane studente il suo essere in attività più o meno coscienti. E per rendere i nostri giovani coscienti di essere in azione cosciente, è far capire loro che finché c’è coscienza c’è vita. E se c’è vita, c’è, pure, un io-mente in grado di interpretare tanto la realtà esterna che la propria condizione interna, cioè il se stessi, il chi siamo, come siamo, il che cosa sappiamo e il come sappiamo essere. Da notare subito che abbiamo utilizzato il verbo interpretare per ribadire che ogni interpretazione è sempre e comunque personale, e quindi non generalizzabile come invece molto spesso capita nelle valutazioni o nei giudizi dati in classe o scritti nei documenti scolastici.
E quindi, tornando a quell’io-mente presente in ogni nostro vivo e vitale studente, sarà proprio su questo che dovremo lavorare, poiché un io-mente non può fare a meno di essere cosciente almeno in queste 4 distinte e integrate condizioni vitali:
Coscienza base, ovvero se stesso in quanto giovane operante nel mondo, come soggetto facente parte del mondo in cui vive e si rende attivo e reattivo;
Autocoscienza, ovvero se stesso in quanto giovane consapevole di essere “cosa” ben distinta dagli accadimenti presenti nel mondo e quindi nella realtà quotidiana in cui vive;
Coscienza morale, ovvero se stesso in quanto giovane cosciente delle qualità relazionali attivate dalle sue azioni e dalle azioni altrui;
Coscienza mistica, ovvero se stesso come giovane cosciente di percepirsi unito a tutte le cose e al loro stesso principio originario.
Anche se non tutte queste forme di coscienza umana sono facilmente raggiungibili in giovane età, sappiamo, comunque, che la forza vitale, la consapevolezza della propria presenza in vita sono energia attivante per sviluppare la cognizione umana, e tutte queste qualità, tanto biologiche quanto culturali, sono inevitabilmente il miglior mezzo per potenziare la coscienza umana:
La coscienza nel senso forte del termine nasce però solo laddove si ha consapevolezza: in questa prospettiva dire che si ha coscienza equivale a dire che si ha consapevolezza, e dire che si è coscienti equivale a dire che si è consapevoli. In altri termini: ogni forma di vita esprime necessariamente cognizione.[1]
Quindi, più che arrogarsi il diritto di giudicare le nostre bambine e i nostri bambini, le nostre ragazze e i nostri ragazzi, in classe dovremmo avere la forza di lavorare molto di più sulle loro prese di coscienza, sulle loro consapevolezze del chi sono, come pure sulla loro fortuna di essere in vita e dunque capaci di ap-prendere, com-prendere, dunque in grado di auto-valutarsi sapendo, sempre con molta coerenza intellettuale che, quella visione di se stessi, in quel preciso momento, non sarà e non potrà mai essere un giudizio finale, poiché in quanto interpretazione personale non potrà che essere parziale.
E la sclerocardia, come ci invita Papa Francesco, è bene che il prima possibile da cuore di pietra ritorni a essere cuore di carne, poiché è questo tipo di cuore che anche in classe ci rende vivi e coscienti dell’umanità che possiamo trasmettere… anche perché Chi sono io per giudicare?
[1] Mancuso V., La forza di essere migliori, Garzanti, Milano 2019, pp. 65-66.
di Andrea Iovino, Maurizio Spaccazocchi